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Parla con lei: l’amore e le sue intrinseche disabilità

Di Tania Sabatino

Pedro Almodovar sembrerebbe parlarci, attraverso un film proiettato quasi vent’anni fa, delle relazioni e delle solitudini sovrapposte e sovraesposte ai tempi della grande pandemia Covid-19 di questo 2020.

Ma potrebbe anche parlarci dell’isolamento in cui vivono alcuni, che si portano addosso il peso di un’etichetta scomoda e cucita male, che rimane attaccata alla pelle e se provi a strapparla ti riduce a brandelli, strappandoti pezzi di te, mentre viene via, o di chi resta sospeso tra l’esserci e il non esserci, in una morte apparente che non riesce ad essere più, o magari non è mai stata, vita.

un infermiere accarezza e cura una paziente in comaAbilità e disabilità si intrecciano, accettazione ed isolamento, che è segregazione dell’anima, prima che del corpo, dove solitudini coatte vengono apparentemente sovrastate e tacitate da ambienti ostinatamente ciarlieri, connotati da un chiacchiericcio incessante di sottofondo. Sprazzi di speranza, di luce misti a tormenti, difficili, se non in impossibili da fugare, tant’è vero che sfociano in rinnovata disperazione. Bisogni gridati ma che rimangono muti ed insoddisfatti, perché il mondo circostante è troppo veloce, feroce o distratto.

Almodovar, in tal senso, è maestro nel farci “sentire”, quasi che fosse la nostra storia, e nel farci riflettere intorno (ed in tondo, quasi a descrivere un labirinto dal quale è impossibile uscire) le mille sfumature dell’amore e del desiderio, ma più in generale dell’animo umano, analizzato in chiaroscuro. Lo fa anche in Parla con lei, pellicola del 2002, dove ci presenta varie esistenze, bisogni, tormenti, solitudini e disagi che si intrecciano, trovando uno spiraglio di consolazione, capace, però, di diventare, come già detto poc’anzi, ulteriore fonte di disperazione. Benigno, un nome non scelto a caso perché indica sia qualcosa di buono sia la possibilità che quel bene si trasformi in male, è un infermiere: al contempo tramite corsi per corrispondenza è diventato anche estetista e parrucchiere. È un uomo che dell’amore e delle donne conosce ben poco nei fatti, ma attraverso il canto lieve della sua anima ha imparato a prendersene cura, ad assaporarne l’esistenza e la presenza, ma anche ad appropriarsi del segreto della loro essenza più autentica, comprendendo che con le donne bisogna parlare, guardarle davvero, ascoltarle. L’ha capito attraverso un processo faticoso, dipanatosi in giorni, mesi, anni di osservazione silenziosa, ed a tratti sofferta, e quasi reverenziale, prima rivolte verso la madre e poi verso la ragazza di cui si è innamorato, tanto da avventurarsi allo scoperto, fuori dalla sua abitazione-nascondiglio da cui di solito ne spia la vita, seguendola in casa sua, solo per portare con sé uno sguardo rubato ed un simbolo della di lei femminilità, un fermaglio per capelli (sono innocuo, le dice, quando lei lo scopre), che conserva gelosamente, costantemente in contatto con il suo corpo. Toccherà a lui assisterla, sviluppando un dialogo speciale e simbiotico, quando Alicia entrerà in coma in seguito ad un incidente d’auto, avvenuto in un giorno di pioggia. Marco gira il mondo e scrive guide che sono bussole per i viaggi altrui, ma forse lui stesso non sa orientarsi nella propria vita ed in quella degli altri, quando vi entra in contatto ed in collisione. Si innamora di Lydia, torera chiacchierata, ribelle e sanguigna. scena del film Parla con lei di Pedro AlmodovarQuando lei finisce in coma, incornata da un toro, l’uomo è sgomento di fronte all’apparente muro di incomunicabilità che si alza inesorabile tra di loro, all’impossibilità di poterle parlare, a quel corpo muto ed immobile (che pure ancora vive, anche se il cervello è spento). Ma, nonostante questo, le resiste accanto, perché attraverso il suo amore, ammutolito da un cervello gravemente danneggiato che, beffardamente, le permette ancora, però, di espletare una serie di funzioni involontarie, lui sente di esistere. Così cerca di imparare a dialogare comunque con lei, grazie alla guida esperta di Benigno. Un dialogo muto che ha il sapore di un contatto ancora possibile. Fino a quando scopre che l’amore sperato era solo apparenza ed illusione: la distanza da emotiva diviene fisica, traducendosi in un distacco prima volontario, poi obbligato. Tra due uomini così diversi, Marco e Benigno, che vivono ognuno confinato nel suo mondo, in universi apparentemente paralleli, tali da non incontrarsi mai, nascerà un’inaspettata amicizia, che regalerà ad entrambi una stilla di speranza e di autentica vicinanza profondamente umana. Nella pellicola Almodovar incastona anche un cameo in cui viene mostrato, attraverso un racconto surreale, come la relazione simbiotica tra uomo e donna possa diventare reale, palpabile e fisica: l’uno si perde e vive nell’altra ed in questo modo i due si appartengono per sempre. Ancora una volta Almodovar indaga i sentieri del discorso amoroso, che non è scevro da morbosità invischianti ed “orrori”, legami che diventano legacci, tali da sfociare in una forma di eccesso abusante. Però, in questo caso, di fronte all’ingenuità ed alla tenerezza che permea profondamente l’uomo che li perpetra, isolato e deriso dal mondo, che lo etichetta come sub-normale, tanto da essere arrivato a crearsene uno parallelo, che finisce per intersecarsi con quello reale, dove per lui sia possibile essere amato ed accettato ed immaginare un futuro di condivisione e di fuga dalla solitudine profonda che lo attanaglia, stentiamo a catalogare gli orrori come tali… O quantomeno la cosa ci crea l’ennesimo conflitto disturbante, di quelli che l’occhio e la narrazione di Almodovar sanno nutrire in maniera magistrale…